lunedì 30 gennaio 2012

Who bang me?


E sono quattro fori nella pelle. Buchi tondi e larghi, cerchiati di pelle arricciata e secca, contornati da grosse e organiche briciole,  incrostate e violacee. Ornamenti e cornicette di carne esplosa e sbalzi di sangue raggrumato. Mescolanza di polpa straziata, sentimento corporeo e bolo venoso. 
Gli ammanchi di sostanza e pelle sono semplicemente quattro spari, oramai senza eco. Quattro colpi di pistola diretti, inflessibili, alla schiena. Tutto si spera sia avvenuto nel sonno, nei sogni. Si vorrebbe affermare che ad ogni  colpo, ad ogni squarcio, sia corrisposto un incubo, un motivo tragico per sanguinare. Ma non esiste un referto sulla sua complessa attività onirica, sulla disattenzione verso la realtà. Così non si sa! Non si conosce e forse la traiettoria del tiro veniva dall'interno del corpo e il pensiero, sempre troppo alacre nel suo disturbare, è il vero killer. 
Altra ipotesi: forse sono stati sparati da fuori, da chi si era alzato in piedi sul letto e rideva colpendo! 
E il movente? 
Il fastidio per le sue sode esternazioni, sempre appese ad un fragile scheletro di cipria? 
La facilità con cui sapeva aspettare?
 La predilezione per il disorientamento con cui smagnetizzava la bussola dei malcapitati interlocutori?
 Il perdersi quando c'era da esserci e il farsi trovare sempre nel momento sbagliato? 
Mentre lo si fotografa così tutto nudo, riverso sulla pancia, a culo in su e con la schiena ricamata dalla carne esplosa, non stiamo a domandarci nemmeno se ha sofferto. solo ci si chiede se lo conoscevamo veramente e se, trovandoci noi al posto suo, qualcuno, al di là del rituale riconoscimento da obitorio, saprà mai affermare qualcosa di più di un semplice "si chiamava...". 
Con sarcasmo e acida empatia ci chiediamo 
se è più ridicolo farsi ammazzare 
o non essere mai riusciti a farsi conoscere intensamente?

mercoledì 18 gennaio 2012

il Rifiuto e i rifiuti


Ci si può rifiutare di fare certe cose, si può negare la propria disponibilità a sottoscrivere schifezze, a mettere a rischio le vite altrui, a prendere sottogamba una manovra o una scelta. Scegliere il valore delle persone contro l'inflazione della propria intima autostima. Si può opporre una negazione, ragionata o impulsiva che sia, comunque una semplice negazione, un semplice no! Certo le conseguenze sono pesanti, si può perdere il lavoro, si può perdere l'abito bello da sfoggiare, gli ammiratori e la mediocrità tiepida di una sicurezza che fa sempre gola all'ultimo e disumano appetito. Ma si può decidere di non starci dentro, e di non volere stare dentro alla codardia, e poi non si scappa come tanti che dicono sempre si..."tanto era un ordine arrivato dall'altro, o un rischio (in)calcolabile". Sì, ci sono le conseguenze: per il resto della vita si porterà quel No tatuato a fuoco..su carne viva. Però la coscienza non sarà congelata allo zero assoluto. Però la pelle non conterrà un manichino sempre più vuoto, sempre pronto al prossimo sì. 
Il tipo nello specchio la mattina non vi darà la nausea, e forse si faticherà di più nel vivere, ma con molti meno miasmi e in totale assenza di conati di vomito. 
E durante la rasatura se la lama del rasoio solcherà la pelle troppo in profondità vedrete uscire il  sangue e non una inutile e trasparente soluzione di comodo.
Per due volte nella mia vita ho opposto una negazione a faccende del genere, una negazione che ha portato ad inevitabili sconquassi nelle mie comodità future. E non è stato semplice, non è stato come schioccare le dita, non è stato per guadagnarsi un paradiso al quale non credo. E' stato e basta, doveva essere così e basta.
Oggi so solo che questo umano rifiuto mi ha impedito di diventare un rifiuto umano. 

domenica 8 gennaio 2012

La mia morte: una faccenda che va per le lunghe.



"Stai morendo", un cartello che avrebbero dovuto appendere nella sala parto il giorno del mio primo giorno. "Stai morendo quindi comincia a vivere" per esattezza.

Da sempre questo filo fatto di intestini e nervi si ostina a tenermi sveglio e a farmi sognare. A volte persino di notte. Invece dovrei arrendermi ad un bell'addio, vivacchiando?
Non funziona e non arriva, come non arriva questo senso di colpa a schiacciarmi. Non mi sento proprio ne' il buono ne' il cattivo.
Ancor meno riesco a dimenticare che si ricomincia da zero realmente quando si condannano tutte ma proprio tutte le ingiustizie, si conserva la memoria, e si piega la schiena solo per sollevare un peso. Per lavorare e non per ottenere un lavoro. Per accarezzare un cane, per baciare, leccare e adorare, il corpo della persona che si ama.
Poi è vero che sto morendo, che sono morto un centinaio di volte almeno. Che mi è toccato accettare la nobile umiliazione di dover scendere dal piedistallo e sbattermi a sangue l'animo e i muscoli per vivere e non solo per sopravvivere. Per questo tanti finti modesti e molti esperti nel palesare la loro presunta umiltà mi puzzano e non voglio il loro odore vicino: li ho visti frequentemente cagarsi in mano lodando la loro mediocrità convinti che fosse merda profumata. La loro superbia e la loro corrosiva invidia sono la ruggine che uccide.

Non ho più molto da dire, ma quello che ancora posso pronunciare e scrivere, disegnare e scopare è destinato alla mia personale fottuta scelta, non è più a disposizione su un banco del mercato, non è soggetto a sconti per nemmeno un regalo riciclabile.
Il legaccio, forse sfibrato e consunto, è ancora solido e non ho intenzione di scusarmi con nessuno per questo. Del mio anacronistico naturale bisogno di coerenza verso me stesso e del dubbio che regala comprensione, della mia polemica contrapposizione, della mia capacità di non portare rancore e della voglia di non dimenticare la mia fragilità non ho più paura! Come non temo più di veder cadere ogni pregiudizio in me, sperando infine di respirare sempre più liberamente, fino alla fine. Questa è la mia fantasiosa e concreta idea dell'amore e della libertà. E questo va fatto, seguendo un mio sentire profondo, in cui vivere è un debito verso la vita, un debito che non pesa ma spinge in avanti, che pulsa.